Con i "Torsi" di Wilhelm Morat la carta diventa autonoma.
La carta è tra le più importanti invenzioni della civiltà. Essa ci trasmette, silenziosamente, l’eredità di un patrimonio spirituale e culturale antichissimo. La carta esterna la propria identità solo nel momento in cui viene utilizzata, stampata, scritta; al contrario un foglio bianco è solo sinonimo di assenza di informazioni.
Lo scultore Wilhelm Morat, nella sua vita d’artista, interpreta l’intero arco dell’esperienza umana: Morat è allo stesso tempo agricoltore, artigiano, scienziato, ricercatore, amante dell’arte, inventore e pensatore. Producendo da sé la propria carta egli inizia la sua esperienza artistica all’aria aperta, dove semina e coltiva il lino per poi rasparlo, pettinarlo e gramolarlo secondo una tradizione antica. Occupandosi direttamente di ogni fase del processo artistico, Morat assembla la polpa fibrosa come se fosse una scultura aggiungendo i pigmenti colorati che pervadono le fibre e tessendo i fili che daranno forma alla materia. I suoi oggetti, manifestandosi in forma tridimensionale, ci ricordando come l’uomo sia anche progettista e costruttore.
Sul terreno dell’arte Morat raggiunge, con apparente semplicità, ciò che nella vita sembra impossibile: la simbiosi costruttiva tra natura, scienza ed arte.
Le sue sculture, così fragili eppure così cariche di forza, rappresentano un punto di congiunzione tra la conquista della terra da parte dell’uomo e la nascita di una civiltà altamente progredita. Nei „Torsi“ di Morat lo spirito artistico non solo vi trova rifugio, ma prende anche vita nella sua materialità.