Ci vien la voglia di avvicinarsi con lo sguardo ai quadri, fino a pochi centimetri di distanza; vorremmo quasi accarezzarli con i polpastrelli. La pittura di Mario Arlati nasce proprio da questo “gusto” della materia. Il colore ne è la forza trainante; ma sono soprattutto le screziature, le crepe, le fessure del muro che ci attirano.
La sensazione è abbacinante: non a caso l’origine è là, nel chiarore delle case di Ibiza baciate dal sole. L’energia interna della luce viene coagulata, immessa nel dipinto, provocando una sorta di simbiosi con l’osservatore. Ed ecco l’ombra che s’infila tra le screpolature dei gialli, dei rossi, degli azzurri violenti.
L’ombra diventa quasi un rifugio, ma anche l’avvio ad un viaggio oscuro nella memoria. Si resta avvinti. Alla sensazione tattile e visiva si unisce il moto dell’animo. Ecco Proserpina che esce dal buio degli Inferi in un’aurorale primavera: e scopre la felicità della luce.